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Biografia
Claudio Argentiero da quasi trent’anni si occupa di fotografia. Il suo percorso si snoda tra lavori su committenza e ricerca personale. È da sempre interessato alla documentazione del territorio e ai mutamenti avvenuti nel tempo, legati al decadimento dell’industria manifatturiera e alla trasformazione del paesaggio. Dal 1988 cura e organizza mostre ed eventi fotografici collaborando attivamente con Enti statali e privati in Italia e all’estero. Progetta archivi con la finalità di raccogliere fotografie del passato e del presente, da divulgare e tutelare per una memoria collettiva. È ideatore e curatore del Festival Fotografico Europeo giunto alla sua 9^edizione e di alcune rassegne annuali, tra cui quelle organizzate, da quasi vent’anni, presso la storica Villa Pomini di Castellanza (Va), luogo simbolo per la fotografia. Ama il b/n, in particolare l’infrarosso che sviluppa e stampa personalmente, sperimentando le antiche procedure in camera oscura e le più moderne tecnologie digitali di stampa fine art, ottenendo la certificazione da Epson. Ha esposto in importanti spazi in Italia e all’estero, ama profondamente Arles (Francia), tempio della fotografia mondiale, dove è presente in mostra ininterrottamente dal 2005 ad oggi in contemporanea ai RIP, realizzando, con altri autori, libri sulla cittadina francese. È presente al Carrousel du Louvre di Parigi nell’ambito di Fotofever dal 2015. Ha al suo attivo oltre 30 libri, e nuovi sono in fase di realizzazione per il 2019. Presente a PHOTO PECHINO dal 2017 con mostre personali e d’archivio. Apprezzamenti significativi sono giunti per la pubblicazione del libro “Incontrando Milano”. Due autori, due stili, due epoche (2014). Un volume nato dalla determinazione dei due autori, Virgilio Carnisio e Claudio Argentiero, appartenenti a due generazioni differenti, ma complementari per lo sguardo su Milano. Recente la sua ricerca sul connubio letteratura e fotografia negli archivi di due intellettuali, Giovanni Verga e Luigi Capuana scrittori veristi. Ripercorrendo la fotografia di fine ottocento e le sperimentazioni degli albori riconducibili ai due letterati, Argentiero ha indagato la Sicilia di oggi, accompagnato da pagine di letteratura contemporanea affidate alla nota scrittrice Silvana Grasso. Ne è scaturito il volume “Verga Capuana Argentiero. Scritture di luce. Letteratura e fotografia nella Sicilia di ieri e di oggi”, gradito al pubblico e agli specialisti. Nelle sue corde l’interesse per il territorio che non fa clamore, ambito da indagare e rivelare attraverso sguardi personali che riportano il quotidiano alla poetica delle piccole cose. Questo il senso della sfida lanciata nel volume “Olgiate Olona, sguardi contemporanei di luce” (2019) dove le immagini dialogano con la memoria, parlano del genius loci, delle tradizioni e delle identità. È ideatore e Presidente dell’Archivio Fotografico Italiano, per il quale cura progetti a livello europeo, oltre ad essere photoeditor dei libri da collezione della collana d’autore Afi. Sue immagini fanno parte di collezioni pubbliche private, italiane e straniere.
VILLAGGIO OPERAIO DI CRESPI D’ADDA
Da territorio avariato a rigogliosa industria
Nel marzo 1888 la giunta municipale di Canoni d’Adda rende noto un memoriale intitolato Canonica d’Adda contro il distacco della propria frazione Crespi. «Il Comune di Canonica d’Adda, già fiorente e prosperoso per attività di commercio, ebbe però sempre un territorio molto avariato perché costituito per la terza parte di gerbidi e ghiajate, poste oltre il Brembo. Per forza d’eventi superiori le risorse del paese diminuirono: nella plaga passiva nacque e si sviluppò rigogliosa un’industria che richiamò molti abitanti e futuri proventi. Canonica seguì con interesse nelle sue diverse fasi la nascente frazione. Fino a che quella zona fu brulla e passiva a nessuno ispirò desiderio di possederla; risulterebbe perfino che, un tempo, dal Comune di Capriate furono respinte proposte di cessione a riguardo. Ora non è giusto che il Comune, il quale decorosamente ha sopportato il peso di quel territorio quando era improduttivo, anzi passivo, venga spogliato adesso che ne rappresenta l’estrema risorsa – prosegue il testo ufficiale – Pochi individui e tutti alle dipendenze del cavalier signor Crespi firmarono la petizione per il distacco». Malgrado l’opposizione politica di Canonica, il villaggio operaio viene trasferito alla giurisdizione di Capriate d’Adda con Decreto del 30 giugno 1889.
Fonti: Don Piero Perego, Andrea Possenti, Da Ponte Aureolo a Canonica, Treviglio 2006, Tipolito CF
Nato nel 1876 su di un territorio fino ad allora incolto in prossimità del fiume, l’esperimento totale crespese durò cinquant’anni ed ebbe inesorabilmente termine nel 1929. Oggi la fabbrica non è più in funzione mentre l’abitato ospita una comunità in gran parte discendente di coloro che vi vissero o lavorarono.
Nell’osservare l’abitato, non lasciatevi convincere dall’immediata impressione di trovarvi di fronte alla mediocre uniformità di un modello architettonico instancabilmente ripetuto ma cercate di cogliere il senso, l’idea, il valore di ciò che vi circonda, di quel progetto totale che investì questo territorio e di cui l’architettura doveva essere la via maestra della sua trasformazione.
A chi legge chiediamo di non accettare la banalità della sua forma. Il ruolo di Crespi d’Adda non può essere ridotto all’inutile compito di esibire l’ovvio, ma al più complesso scopo di utilizzare il territorio, la città, l’architettura come mezzi di riflessione, di meditazione e di esplorazione.
Potrete rimanere colpiti dalla circostanza per cui a questo luogo manchi l’impronta che le altre città ricevono dal lento apporto dei secoli, dalle vestige di tante generazioni ma ciò è dovuto alla semplice circostanza che il villaggio sorse, si sviluppò e iniziò il suo declino, nel breve volgere di un mezzo secolo.
Nelle prossime righe si cercherà di fornire alcune essenziali indicazioni sulle funzioni delle costruzioni presenti nel villaggio operaio al fine di essere una utile guida per spiegare il mondo, la gente, le idee e l’impalpabile vita che abitava Crespi d’Adda.
Ci si può facilmente accorgere che il villaggio si intravede proprio quando ci si cala nel vero e proprio senso fisico della parola, come se il buio e l’oblio si fossero preoccupati di conservare certe testimonianze con l’occulto scopo di riportarle alla luce al momento opportuno.
Scendendo il declivio che al villaggio conduce ecco, all’orizzonte, apparire prima una, poi due ciminiere, sentinelle d’argilla a custodia del sogno, poi la guglia della chiesa che ci ricorda come lo spirito alberghi sempre nei luoghi dove la carne ha sofferto e, infine, il rosso tappeto del cotto che copre le sommità visibili degli edifici della fabbrica.
Risalendo per questa strada e volgendo lo sguardo verso destra, si intuiscono, tra le rade fronde di robinie e betulle, il silenzioso dialogo dei tetti in lontananza e la particolare costruzione della Villa Padronale con la sua goticheggiante forma di castello medievale.
Dopo pochi passi, il visitatore giungerà in prossimità di due ville, divise e legate da una cancellata in ferro attraverso cui si apre una quasi completa panoramica dell’abitato, un tempo abitate dal medico e dal cappellano.
Da qui il villaggio operaio si trova, quasi tutto riassunto, nei nostri occhi.
Decine di case operaie a pianta quadrata, incoronate da orti e circondate da staccionate, che se ne stanno in fila come gli spettatori in un anfiteatro affacciato sulla fabbrica, protagonista assoluta della scena. Più in là, in lontananza si possono intravedere le case dei capireparto e le ville dei dirigenti.
La fisionomia della città immaginata da Cristoforo e, poi, dal figlio Silvio è immediata. Del resto l’arte del tessere teli è simbolo e metafora del fabbricare stesso.
Apparirà subito evidente l’ordinata planimetria che regola i rapporti tra gli edifici, le strade e il territorio, che rivela, già nelle premesse progettuali, la filigrana sottilmente specifica della poetica architettonica del villaggio.
Questo risulta, infatti, suddiviso in modo ordinato in tre parti che sono separate da due strade che seguono la direttrice che da nord conduce a sud.
La divisione è netta tra la zona residenziale, disposta in regolari linee rette parallele nella parte orientale, la zona di pubblica utilità, dove si dispongono gli edifici di interesse pubblico e la zona industriale, dove ciò che resta dell’originario “Cotonificio Crespi” è steso immobile nella parte più a ovest della cittadina.
Tale divisione, frutto di una cultura urbanistica anglosassone, è funzionale alle attività che si svolgevano all’interno del paese. Una parte, quella più vicina al lettore, è destinata ad accogliere le residenze di coloro che erano impiegati nella fabbrica. La parte centrale dedicata alle funzioni pubbliche e agli edifici comuni come il lavatoio, il dopolavoro, l’albergo, la chiesa, il teatro e le scuole e, più avanti, anche se non immediatamente visibili, il piccolo ospedale, il centro termico, i bagni pubblici, la caserma dei vigili del fuoco e, distanziato, alla fine del paese, il cimitero. L’ultima parte, quella più a ovest, destinata alla attività lavorativa, con la fabbrica, la villa padronale e i palazzotti, cinte tra la strada principale e il fiume Adda di cui si intravede solo la valle.
(fonte: https://www.crespidadda.it/)