Fondo Fotografico Afi

Valli Varesine: volti dell'agricoltura, armonia del paesaggio


ESSERCI CON CURA

Di queste terre e delle nostre valli si è scritto molto, negli anni, anche se non tutto, e forse non ancora abbastanza. Si è detto della bellezza e del fascino dei paesaggi, degli scorci a lago, delle segrete, talvolta nascoste ricchezze, di testimonianze storiche, dei segni di fasti antichi, di qualche nobile e quasi austera traccia di solidità economica. Si è scritto dell’operosità di un territorio che ha legato le proprie vicende a quelle di opifici divenuti essi stessi parte fondante della “storia” dei luoghi, per quanto hanno saputo, per decenni e talvolta per secoli, marcarne la crescita economica segnandone l’evoluzione. Ora che le condizioni di vita e di lavoro sono cambiate, con la progressiva scomparsa di tante realtà un tempo produttive, le valli scoprono, o riscoprono, una propria fisionomia diversa, per qualche verso antica e in qualche modo nuova: è quella del mondo rurale, legato ad un tempo all’allevamento e alla produzione agricola, ma anche alla pesca, all’ambiente silvano, al vivere e all’abitare la terra ponendola al centro di ogni proprio interesse, economico ma non solo. In ogni piccolo paese delle valli, dal piano così come sulle sommità, si sono moltiplicate le realtà di aziende che hanno scelto di legare le proprie sorti alla terra, al lavoro su di essa, con essa, riprendendo e perpetuando una sapienza antica. Sono state, a volte, scelte coraggiose e controcorrente, compiute quando tutto faceva propendere per altri obiettivi, apparentemente più facili e alla portata di mano, e continuare a sostenerle comporta sempre e comunque una grande dose di fiducia, di coraggio, di fatica. Le immagini raccolte in questo libro ci restituiscono, attraverso un percorso interpretativo, le fisionomie ed i luoghi di questo mondo operoso, che guarda a suo modo con fiducia al futuro, scegliendo ogni giorno di rimanervi, di crescervi i propri figli, di prendersene cura. Penso che il sentimento della “cura” sia una delle attitudini più sublimi dell’animo umano, qualunque ne sia l’oggetto. Nella nostra accezione il prendersi cura non viene solitamente riferito al nostro “esserci nel mondo”, quindi agli infiniti aspetti del nostro rapportarci con esso, ma ha assunto il carattere del sentimento di attenzione, devozione, in qualche modo anche compassione per l’oggetto al quale indirizziamo la nostra azione di cura: è divenuto un moto del cuore, vorrei dire dell’animo, che si traduce in gesti, espressione della ricerca del benessere altrui, cui ci dedichiamo senza aspettarci un immediato tornaconto o una ricompensa, che anzi ci viene proprio dalla consapevolezza di corrispondere in questo ad un puro impulso emozionale, senza secondi fini. È proprio questo aspetto, in fondo, il tratto determinante che accomuna realtà solo apparentemente diverse tra loro: l’aver cura di qualcuno o di qualcosa è una dimensione originaria, che si colloca nella radice primaria dell’essere umano, prima ancora che egli faccia qualsiasi cosa; è la base che rende possibile l’esistenza umana in quanto umana. Abbiamo cura dei figli, dei nostri simili, dei nostri animali, della nostra casa, della nostra vita. “Abbi cura del giorno che nasce”, raccomanda un’antica esortazione orientale, e da sempre anche il piccolo appezzamento di terra vicino alla capanna o alla casa è oggetto della cura dell’uomo. Per chi intende curare, l’ascolto non è un’opzione, ma la condizione fondamentale affinché ogni azione intrapresa risulti efficace: nella cura di un malato come in quella di un bambino che cresce, nella vita di una coppia come in un rapporto di amicizia, l’ascolto sta alla base dei gesti, presuppone il tempo dedicato, e fa sì che esso sia ben speso. Come dice la volpe al Piccolo Principe, “è il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”. Non può esserci fretta, nella cura, né superficialità; la riflessione e la ricerca della vera soddisfazione di un bisogno obbligano alla calma e alla ponderazione. Ci accorgiamo solo così di quello che davvero occorre all’oggetto delle nostre cure, ascoltandolo e comprendendolo, per cercare di individuare le azioni più adeguate da compiere. “Bisognerebbe fare ogni cosa, anche le più banali, con la più grande cura e con la più viva attenzione, come se da ciò dipendessero le sorti del mondo e il corso delle stelle, e d’altronde è vero che le sorti del mondo e il corso delle stelle ne dipendono” (Christian Bobin). Aver cura, prendersi cura di qualcosa o di qualcuno, presuppone tenacia e costanza, capacità di non soccombere ai fallimenti, di “persistere con pazienza e dignità in ciò che sembra insostenibile”. Quello che la parola giapponese gaman racchiude, il segreto dell’arte della resistenza. “Sono i fallimenti che ti insegnano la pazienza e la costanza, la precisione e la cura in quello che fai”, e questo è esperienza di ciascuno, in ogni momento dell’esistenza. Aver cura di qualcosa o di qualcuno non dà diritto al risultato, come i nostri ripetuti fallimenti ogni volta ci ricordano; aver cura di un malato non ne garantisce la guarigione, né il coltivare una relazione umana giustifica la pretesa di essere ricambiati: può sempre intervenire qualche fattore imponderabile ad ostacolare i nostri sforzi, oppure a salvarli malgrado noi. Ciò che conta non è il riuscire, ma l’aver cura, che è un modo profondamente umano di coltivare la bellezza. Ecco quindi che ogni impresa, ogni attività organizzata e condotta nelle nostre valli, assume e conserva una dignità ulteriore, diventa baluardo e presidio, al di fuori di qualsiasi operazione di recupero nostalgico di immagini romantiche del passato: non si tratta solo di difendere una cornice di verde ed un rilievo di pregio dalle spinte costruttive, ma di difendere il senso del sacro che emana da quei luoghi che hanno rappresentato in antico la salvezza dalle inondazioni dei fiumi, il controllo visivo del territorio e, quindi, la difesa dalle scorrerie, il rilievo che costituiva e costituisce il primo segno riconoscibile per chi percorra la pianura verso nord, o per chi ridiscenda le valli andando incontro a questa. Un progetto fotografico che induce alla riflessione, restituendoci paesaggi e luoghi, tracce dei modi di abitare passati e segni più recenti della presenza umana, che ci parlano attraverso i volti, occhi ed espressioni di donne e uomini che hanno in comune, pur senza esserselo mai detto, lo stesso amore per terra e per la vita. L’occhio dei fotografi l’ha colto, la loro arte ce lo consegna, perché possiamo conoscerlo e a nostra volta regalarne ad altri, con la forza espressiva e lo stile di ogni singolo artista.

Presentazione del volume “Valli Varesine: volti dell’agricoltura, armonia del paesaggio” AFI, 2015